Se rispondo ad un attacco mi sento in colpa, se non lo faccio mi sento come uno zerbino.

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Mario Zanoletti
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Se rispondo ad un attacco mi sento in colpa, se non lo faccio mi sento come uno zerbino.

Messaggio da Mario Zanoletti » 7 aprile 2021, 17:58

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Se rispondo ad un attacco mi sento in colpa, se non lo faccio mi sento come uno zerbino.

D: Quando percepisco un attacco che sembra totalmente ingiustificato – e questo può essere un semplice commento che qualcuno fa e che mi fa sentire invalidato – la mia reazione è di rabbia intensa e odio al punto che, se potessi farla franca, ucciderei l’altra persona. Con queste sensazioni di invalidazione e indignazione, posso sentirmi come uno zerbino. Questo è un punto critico per me, perché se non soccombo alla rabbia e non rispondo all’attacco, e prego invece lo Spirito Santo per avere aiuto, mi sento piatto e immotivato e mi sento come un rifiuto.

Secondo la mia comprensione, ciò che è accaduto è che l’esperienza di indignazione e invalidazione è solo la mia colpa e paura proiettata verso l’esterno, e la situazione offre l’opportunità di diventare consapevole della mia auto disapprovazione inconscia, e del fatto che le persone che sembrano farmi qualcosa non sono la vera causa. Anche se, quando accade, lo comprenda intellettualmente, questa comprensione sembra avere poco potere o forza rispetto all’intensità dell’emozione, e fa poco per trasformare il dolore.

Desidero molto conoscere un modo da poter seguire e che mi possa aiutare a perdonare veramente e a trasformare l’energia di questa colpa / rabbia nella vitalità e nell’amore che cerco. Voglio sapere che, sì, il perdono funziona davvero quando faccio l’esperienza di applicarlo e praticarlo.


R: C’è un altro aspetto della colpa nella tua mente che può aiutarti a comprendere il motivo per cui è così difficile lasciar andare la tua rabbia quando senti di essere stato invalidato dall’altra persona. La tua colpa inconscia – che può anche essere chiamata odio per te stesso – ti porta ad aspettarti di essere trattato male perché questo è ciò che la tua colpa ti dice che meriti. Questo è vero per tutti noi, naturalmente, che crediamo di aver attaccato Dio e di esserci separati da Lui. Non saresti influenzato dall’attacco dell’altra persona a meno che, inconsciamente, non pensassi di meritarlo. Nella tua mente corretta, se fossi identificato con la tua assenza di colpa in quanto Figlio di Dio non prenderesti l’attacco a livello personale e vedresti nell’altra persona la paura che sta dietro l’attacco.
Ecco perché Gesù ci dice, in Un corso in miracoli che “nessuno può arrabbiarsi nei confronti di un fatto.
E’ sempre un’interpretazione che suscita emozioni negative, indipendentemente dalla loro apparente giustificazione da parte di ciò che si presenta come un fatto. Indipendentemente, anche, dall’intensità della rabbia che viene suscitata” (M.17.4:1,2,3).

Collegata a questa c’è un’altra dinamica descritta nella sezione del Capitolo 31 intitolata “Il concetto del sé contrapposto al Sé” (T.31.V). Il concetto ivi descritto, “il volto dell’Innocenza”, è uno di quelli in cui la maggior parte degli studenti vorrebbe non essersi mai imbattuta. È una rivelazione devastante su di noi, sebbene alla fine sia la nostra via d’uscita dall’inferno di situazioni come quella che descrivi. Il nocciolo di questa idea è che nascosta dietro le nostre proteste di essere la vittima innocente della crudeltà altrui c’è un desiderio di essere trattati ingiustamente così da poter incolpare l’altra persona per la nostra mancanza di pace e felicità. Quando ascolta questo per la prima volta la maggior parte delle persone obietta strenuamente: “E’ impossibile! Perché vorrei deliberatamente soffrire per mano di un altro? Non ha senso”. Non ha senso dalla nostra prospettiva. Ma alla luce della strategia dell’ego, ha perfettamente senso.

Come hai affermato ti rendi conto, almeno intellettualmente, di aver proiettato la tua colpa sull’altra persona, e questo è il modo in cui l’ego ti assicura che riguadagnerai la tua innocenza – che è l’altra persona crudele ad essere il carnefice, non tu. Ciò che ne consegue è che nel profondo di te stesso, pertanto, devi volere essere trattato ingiustamente. Devi soffrire per mano di un carnefice se vuoi essere la vittima innocente, secondo la logica contorta dell’ego. Questo è difficile da mandar giù, ma è essenziale includerlo nella tua comprensione della proiezione. Nel momento in cui sei in grado di guardare questo aspetto della colpa, ti stai dando un altro modo di gestire la tua rabbia. Non porta via la tua rabbia, ma ti aiuta a non giustificarla. Questo non sembra utile, ma è molto utile, nel senso che ti dà una migliore opportunità di arrivare alla causa reale della tua rabbia.

Nel modo in cui il tuo ego ti ha portato a vedere le cose, indipendentemente da quale percorso prendi, finisci con l’essere il perdente. Da un lato, se perdoni lasciando perdere l’altra persona, ti senti come uno zerbino e un rifiuto. Ma se non perdoni, la tua rabbia ti succhia l’energia e tu semplicemente ti arrendi, mentre la tua colpa resta intatta nella tua mente. Con il vero perdono, nessuno perde. Tu guardi semplicemente ciò che il tuo ego sta facendo senza giudicarti. Se non ti giudichi, allora sei nella tua mente corretta con Gesù o con lo Spirito Santo. Anche se questo avviene per una frazione di secondo hai fatto un progresso significativo verso il disidentificarti dal tuo ego, perché il problema reale è questa identificazione, non ciò che l’altra persona ha detto o fatto. In quell’istante sarai in pace, avendo avuto un barlume della tua innocenza, che è condivisa da tutti. Non perdoni l’altra persona, perdoni te stesso per aver creduto che la tua colpa fosse reale e che avresti dovuto fare qualcosa al riguardo (la difesa della negazione e della proiezione). Questo richiede un sacco di pratica, ma Gesù garantisce il nostro successo, perché tutto ciò che stiamo facendo è recuperare la nostra assenza di colpa che è la nostra vera identità. Chi può invalidarti se Dio Stesso garantisce la tua innocenza (L.pI.93.6)? Questo può accadere solo se dimentichi chi sei, e allora dai a qualcun altro il potere di farti diventare uno zerbino, cosa che può avvenire solo in un sogno o in una fantasia (T.4.I.7).


Gestire la rabbia


D: Durante una discussione sulla rabbia nel nostro gruppo di studio qualcuno ha suggerito che, per sperimentare la rabbia, non dovremmo “esprimerla” esteriormente, ma invece, come il Corso ci incoraggia a fare, essere “Al di sopra del campo di battaglia” (T.23.IV), “Fatti sollevare, e contemplalo da un luogo più alto” (5:1). Certamente questo sembra un modo migliore rispetto al compiere apertamente un abuso sull’altro con la propria rabbia. Ma che dire dell'idea di urlare in un cuscino o di colpire un sacco da pugile? È ancora considerato attacco? Che fare se la mia rabbia è così intensa che sono incapace (non disposto) di “Elevarmi, e contemplarla da un luogo più alto”?



R: La tua domanda segnala una confusione che molti studenti fanno spesso nel loro lavoro con il Corso. Il Corso, come lo Spirito Santo, è interessato solamente al contenuto (pensiero) e non alla forma (comportamento). Se sono in conflitto e provo della rabbia non sono più in pace, sia che io agisca o meno in base a tale rabbia.

Rabbia e attacco sono nella mente ed è proprio là che c’è bisogno di correzione. L'essere sufficientemente disciplinato per non agire sotto l'impulso della rabbia, o dirigerla verso un oggetto inanimato (come un cuscino o un sacco da pugile) piuttosto che contro una persona, presenta certi vantaggi in quanto non mette in moto un'eventuale sequenza di attacchi evidenti e di rappresaglia a livello di comportamento, che quasi certamente serviranno a rinforzare il senso di colpa sia nella tua mente sia nella mente della persona che contrattacchi.

Ma l'attacco è ancora ben vivo nella tua mente e il problema della rabbia non sarà risolto finché non lo affronterai alla sua fonte nella mente. Questo implicherà il riconoscimento che i tuoi sentimenti di rabbia ed i tuoi pensieri d'attacco non hanno nulla a che fare con l'altra persona alla quale sono diretti e dalla quale sembrano essere stati suscitati.

“Elevarsi, e contemplare da un luogo più alto” la tua rabbia significa ricordarti che sei una mente che ha la scelta di guardare il conflitto o con il tuo ego o con lo Spirito Santo come tuo insegnante. Quando “guardi” con il tuo ego, crederai ancora che i tuoi sentimenti di rabbia siano in qualche modo giustificati, che a qualche livello sei stato trattato ingiustamente e che la tua reazione è ragionevole, anche se scegli di non agire in base ad essa. Se la tua percezione continua ad essere tale, non si è verificata alcuna guarigione.

Ma quando guarderai con lo Spirito Santo, capirai che il problema non è l'altra persona, bensì una tua scelta che hai dapprima fatto nella tua mente per vederti separato dall'amore. Quella scelta, come sempre, produce un senso di colpa che trovi insopportabile. E così la colpa deve essere proiettata fuori di te, su qualcun altro che vorrai vedere come una persona che ti tratta ingiustamente e sulla quale la colpa può quindi posarsi. E così le sensazioni conflittuali che sono venute dalla tua decisione di separarti dall'amore nella tua mente sembrano allora essere causate da ciò che quest'altra persona ti “ha fatto”. Ma se tu all’inizio non avessi scelto la colpa, le parole o le azioni dell'altro non avrebbero assolutamente avuto alcun effetto su te. Il fatto che sembra lo abbiano ti dà semplicemente indicazioni sulla tua decisione precedente di rivolgerti al tuo ego allontanandoti dall'amore. Appena accetti questa constatazione e la correzione offerta dallo Spirito Santo — che non sei separato dall'amore e non lo sei stato mai — la colpa sparisce, come pure la rabbia ed il conflitto che ne derivavano, e non hai più bisogno di vedere l'altro come un avversario da attaccare (in autodifesa, naturalmente!).

Tra l'altro, sebbene il Corso dica che la “rabbia non è mai giustificata” (T.30.VI.1:1) — e il motivo per cui ciò è vero dovrebbe essere evidente da quanto abbiamo appena trattato — il Corso non dice mai che non dovremmo arrabbiarci. In effetti, gran parte del Corso è volta a dirci ciò che accade quando siamo arrabbiati e come la rabbia può essere corretta, e questo è dovuto soltanto al fatto che Gesù capisce che continueremo ad arrabbiarci ed avremo bisogno della correzione che lui ci offre. Ed a volte possiamo essere in grado di frenarci dall'agire la nostra rabbia e talvolta possiamo sentirci costretti ad agirla, ma il problema — la colpa nella mente — e la soluzione — riconoscere la scelta dello scopo che tutti abbiamo in tutto questo — rimane lo stesso. Anziché negare la nostra rabbia, Gesù vuole che la guardiamo con lui così da poterne riconoscere la vera fonte, anziché tentare di giustificarla in base alle nostre errate percezioni del nostro vittimismo.
Le nostre giustificazioni, molto semplicemente, non sono mai valide.

SABRINA T.
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Re: Se rispondo ad un attacco mi sento in colpa, se non lo faccio mi sento come uno zerbino.

Messaggio da SABRINA T. » 8 aprile 2021, 23:28

Mi chiedo, quando si leggono questi spunti di riflessione che richiedono una considerevole dose di presenza e attenzione, se è bene rimanere concentrati sul testo e fare in modo che tutti i pensieri, immagini, domande, ( anche provocatorie ) ,emozioni che sorgono durante la lettura ( quanto meno a me accade questo, credo di aver provato persino momenti di rabbia durante la lettura ) vengano allontanati con " gentilezza " per dare spazio alle parole del testo di fare il loro corso. A volte mi chiedo se vado subito sulla difensiva nel voler fare domande o obiezioni .. e se forse esiste un altro modo per avviare un processo di conoscenza o esplorazione più adeguato. Mi sono un pò calmata alla fine quando ho letto " Gesù capisce che continueremo ad arrabbiarci", tra l'altro mentre leggevo sono stata assalita da questo pensiero : credo che esista la rabbia che deriva dal " senso di giustizia " ... nel momento in cui vediamo fronte a noi una situazione che NON tocca noi ma altri, ma che per l'orrore cui ci troviamo di fronte, provare rabbia divento lo step successivo. Mario faceva l'esempio del povero ragazzo di colore sulla bicicletta che consegna le pizze sotto la pioggia per 3 euro all'ora. Noi siamo comodi a casa nostra e lo vediamo dalla strada.... che poi nulla ci vieta di fermarlo e dargli 50 euro così che possa tornare a casa con il sorriso.. e magari rinunciare noi ad una bella cenetta per darla a lui...... e mi sono anche chiesta se in fondo, ognuno di noi, con le sue azioni quotidiane, con le nostre piccole minuscole "gocce" siamo in fondo i creatori di quel sistema che porta allo sfruttamento ... certo... a volte ci penso, ma è molto chiaro ad oggi che è solo un pensiero che faccio e che non tramuto in azione... seppur in qualche modo la destinazione è quella.

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