L'ENTRONAUTA

Moderatore: Silvia Bondioli

Rispondi
Silvia Bondioli
Messaggi: 301
Iscritto il: 18 ottobre 2020, 19:07
Contatta:

L'ENTRONAUTA

Messaggio da Silvia Bondioli » 28 novembre 2022, 15:42

L'"entronauta"

All'inizio del cammino la risposta al richiamo del Sé superiore prende la forma di un predominante interesse-di-sé che poi, in seguito alla pressione dell’anima e delle circostanze, diventa quello che è stato definito interesse-di-sé illuminato. Ciò accade quando il ricercatore scopre l’interdipendenza profonda tra sé e gli altri individui, e tra gruppi, nazioni e razze; mutano allora la sua visione del disegno complessivo della vita e il senso del suo personale stare al mondo.
Si origina in lui la tensione al lavoro alchemico interiore di “mutazione del piombo in oro”;
secondo l’espressione di Aurobindo, di una lenta e graduale “trasformazione dell'energia in coscienza”.
L’iscrizione del tempio di Delfi, “Conosci te stesso”, diventa necessariamente il motto di ogni ricercatore, diventato “entronauta” allo scopo di migliorare i suoi strumenti, fisici, emotivi, mentali.
Comincia, così, il percorso che porta fuori dal buio tunnel dell’inconsapevolezza:
Il primo passo è accorgersi di non essere consapevoli... Rendendoci conto di vivere nell'incoscienza si comincia a sentire la necessità di acquisire maggiore consapevolezza, di "risvegliarsi" lottando per uscire dall'oscurità e dalla nebbia. (P. D. Ouspensky, La quarta via)
Svilupperemo gradualmente da noi stessi, come il baco, il “filo di seta” che ci collega all’anima; rafforzati e purificati dal lavoro su noi stessi, che ci consentirà di diventare demiurghi del nostro mondo emotivo e mentale, potremo far vibrare la nostra personale nota nella sinfonia dell’Universo:
Un tamburo può produrre innumerevoli suoni: alcuni ci spaventano, altri ci fanno danzare. Se vogliamo essere padroni di tutte queste emozioni, dobbiamo diventare il tamburino (Vinoba Bhave, Il Sé e il Supremo). Anche Sartre è convinto che l’uomo debba “inventare sé stesso” ed Emerson afferma: “Costruisciti dunque il tuo stesso mondo” (Nature).
In un aneddoto chassidico Rabbi Sussja, prima della morte afferma: “Nell’aldilà non mi si chiederà: “Perché non sei stato Mosè?” ma mi si chiederà: “Perché non sei stato Sussja?”.
Sul Sentiero, l’uomo opera delle trasmutazioni, diventa cosciente della meccanicità del vivere automatico e inconsapevole, dei condizionamenti della natura inferiore; rinuncia all’orgoglio personale, gradualmente e con fatica, poiché, come dice Aurobindo, "il nodo di ostinazione dell'ego è molto duro a morire".
Collabora con le forze evolutive e, anche se ha dei periodi di oscurità, sente che essi saranno seguiti da chiarificazioni e realizzazioni.
Soffre ancora, ma la sua sofferenza è senza disperazione, senza angoscia, poiché ora ne conosce la causa, l'utilità e sa che essa può sprigionare Luce.
La pratica della vita spirituale incomincia con l’affinare la percezione che avete del vostro essere interiore, ed è normale che non siate tanto felici di ciò che scoprite…
In quella sua delusione, (l’aspirante) si crede più debole di quanto non sia, quando invece quella presa di coscienza è proprio l’inizio della sua forza. Le difficoltà che incontra nell’allontanarsi dal suo vecchio modo di vivere sono la prova che egli sta cercando di muoversi, di fare degli sforzi. E se soffre, è perché inizia finalmente a sentire, a vivere e a dirigersi verso un mondo nuovo. (Omraam Mikhaël Aïvanhov, Pensieri quotidiani)
Nell’istante santo la condizione dell’amore è soddisfatta, perché le menti sono unite senza l’interferenza del corpo, e dove c’è comunicazione c’è pace. (T-15.XI.7:1)
Il senso di solitudine non è determinato dalle condizioni della nostra vita, ma da uno stato interiore di disagio che noi proiettiamo sulle condizioni esterne. Da dove deriva questo stato interiore? Dal folle credere di essere separati da Dio, nostra Fonte e nostro Tutto (T-27.VIII.6:2).
Questa separazione genera in noi sentimenti devastanti di angoscia, depressione, colpa e paura, da cui cerchiamo di liberarci proiettandoli sulle circostanze esterne, che a questo punto sembreranno essere la causa del problema, invece che l’effetto.
Questa teoria del Corso può essere messa alla prova molto praticamente, andando con la memoria a certi momenti della nostra vita in cui ci è capitato di non sentirci affatto soli pur trovandoci fisicamente da soli, o a certi altri momenti in cui ci siamo sentiti soli pur essendo in mezzo ad altre persone, a volte addirittura in mezzo ad una vera e propria folla.
Ecco perché il Corso dice che i corpi, di per sé, non possono unirsi, ma le menti sì. Perché la solitudine è uno stato mentale e non fisico.
Eppure, tutti tendiamo a risolvere il problema della solitudine cercando la compagnia degli altri, come se il problema fosse generato dalla loro assenza. E non ci accorgiamo che non solo non lo risolviamo, ma spesso rischiamo di complicarlo ulteriormente. Infatti, le difese fanno ciò da cui vogliono difendere (T-17.IV.7:1) ossia determinano un peggioramento ulteriore del problema: il tentativo di difendersi da un problema inesistente genera il problema stesso.
Così una persona che si sente sola- sensazione generata dalla separazione da Dio- potrebbe per esempio proiettare questo disagio sugli altri giungendo a percepirli come causa del suo disagio e arrivando quindi a diffidare di loro e addirittura a rifiutarli.
La sua esperienza sarebbe di essere rifiutata da loro, ma in realtà sarebbe stata lei, con il suo atteggiamento difensivo, ad aver proiettato e quindi percepito un loro rifiuto. E non ha alcuna importanza se la sua percezione di rifiuto da parte degli altri è confermata da qualche loro comportamento di esclusione. Se questa persona non si sentisse sola non percepirebbe l’atteggiamento altrui come un rifiuto ma come una richiesta di guarigione o di aiuto e non solo non ne soffrirebbe, ma sentirebbe un sincero desiderio di essere d’aiuto.
Oppure il nostro senso di mancanza di natura ontologica - perché determinato ancora una volta dalla separazione da Dio - potrebbe alimentare in noi un bisogno predatorio di compagnia, capace di mettere in stato d’allarme chi ci sta vicino e di portarci nuovamente a interpretare tale reazione come una forma di rifiuto.
In questi e altri casi, il nostro difenderci da un problema interiore non riconosciuto genererebbe un problema esteriore di cui ci sentiremmo vittima.
Evidentemente la soluzione a un problema interno non può essere esterna. Per il Corso questa soluzione è l’Espiazione, ossia la correzione del senso di solitudine interiore offerta dallo Spirito Santo, il nostro Amico per eccellenza.
Non condurre la tua piccola vita in solitudine, con un’illusione come tua sola amica. Questa non è un’amicizia degna del Figlio di Dio, né una della quale egli si possa accontentare. Tuttavia, Dio gli ha dato un Amico migliore, nel Quale si trova tutto il potere in terra e in Cielo.
(T-26.VI.2:1-3)
(Gli spunti sono in parte presi dalle scritture di Bianca Varelli.)

Rispondi

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti