IL DOLORE, QUESTO SCONOSCIUTO - CONOSCIUTO

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Mario Zanoletti
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IL DOLORE, QUESTO SCONOSCIUTO - CONOSCIUTO

Messaggio da Mario Zanoletti » 14 agosto 2021, 11:47

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Intendiamo, con questo discorso sul dolore, proporre una serie di temi che possono essere letti come spunti meditativi.
Ma anche come un aiuto per aiutare tutti coloro che vogliono VERAMENTE comprendere il senso di tutto ciò che accade nella vita di ognuno.
Osservare ogni nostro movimento è, secondo noi, vivere intensamente la propria vita, assaporarla, respirarla, gustarla in ogni sua forma, in particolare "vederla" per ciò che è, e vedere significa essere presenti nella gioia compassionevole.
DOMANDA:
Il dolore è diverso da colui che soffre?
E' per caso autocompassione?
Il dolore è provocato dalla solitudine, dal sentirsi disperatamente soli e isolati?
Possiamo osservare il dolore come concretamente si presenta in noi e restare con esso, tenerlo con noi e non distogliercene?
Il dolore è un tentativo di fuga? Da che cosa?
Reagire al dolore è un'ulteriore sofferenza?
Perché molte persone cercano il dolore in continuazione?
Creare problemi non è forse seminare dolore?
La compassione a qualcosa a che fare col dolore?
Perché da millenni l'uomo sembra perseguitato dal dolore?
Il dolore fisico e il dolore psichico sono direttamente collegati o sono due fatti separati?
La sofferenza ha una causa?
Siamo consapevoli del dolore che ci affligge?
Siamo capaci di osservare la terribile, disperata solitudine dell’essere umano, che si trascina in una vita vuota, senza speranza e priva di qualsiasi significato?
E' così scontato che il dolore psicologico debba esistere?
Che cos’è il dolore?


Molte altre domande affiorano mentre si riflette su questo tema del DOLORE, domande a cui cercheremo, col contributo dei Maestri, di dare chiarezza a coloro che la vogliono.

Proponiamo quanto segue, le letture saranno relativamente brevi, sapendo che non tutti sono predisposti a lunghe argomentazioni.
Proseguiremo con brevi passi, uno dopo l'altro lungo il sentiero che ci unisce tutti.


«Un gruppo si comporta esattamente come un fuoco di carbone: una brace infiammata, non mantenuta attizzata, si spegne da sola. Un grande mucchio di brace diventa un braciere ardente. Quando si è numerosi, ognuno deve avere cura di non disturbare gli altri: in virtù di ciò si ottiene un'atmosfera unica. È precisamente da un tale ambiente che si riconosce un dojo della Via del Buddha.»
(Sawaki Kōdō Roshi)

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"Quando c'è il dolore non c'è l'amore. Come può esserci amore nel momento in cui soffrite e siete tutti presi dalla vostra sofferenza? ... Che cos'è il dolore? È per caso autocompassione? Vi prego di domandarvelo. Non stiamo dicendo che lo è o che non lo è ... Che il dolore sia provocato dalla solitudine - dal sentirsi disperatamente soli e isolati? ... Possiamo osservare il dolore come concretamente si presenta in noi e restare con esso, tenerlo con noi e non distogliercene? Il dolore non è diverso da colui che soffre. La persona che soffre vuole scappare via, fuggire, fare ogni sorta di cose. Ma se contemplate il dolore come si contempla un bambino, un bel bambino, se lo tenete stretto, e non gli sfuggite mai, a questo punto vedrete da soli, se veramente guardate a fondo, che il dolore cessa. E con la fine del dolore c'è la passione; non il desiderio, non l'eccitazione dei sensi, ma la passione" (J.K.).

La centralità di questo brano è nella frase: "Il dolore non è diverso da colui che soffre". La cosa terribile, a suo modo, del dolore non è semplicemente il dolore in sé, ma il fatto che è impossibile fuggirlo. Ogni volta che si presenta, la speranza in noi si riattiva: ci sarà un modo per correre ai ripari...
Ma è sempre la stessa storia: non puoi fare nulla. Vuoi scappare, ma è solo un vano tentativo. Reagire al dolore è solo ulteriore sofferenza.
Una nuova possibilità, poco indagata, ancor meno praticata è guardarlo, penetrarlo, investigarlo a fondo, analizzarlo con precisione chirurgica.
Così: la liberazione. Così la libertà, così la gioia di vivere.
Allegati
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Re: IL DOLORE, QUESTO SCONOSCIUTO - CONOSCIUTO

Messaggio da fortimaira@gmail.com » 28 agosto 2021, 17:21

In questo periodo mi è capitato spesso di provare il dolore dell'incomunicabilità, che di fatto avverto come separazione. Ho provato a comunicare cosa significa per me seguire la mia coscienza ad alcune persone cui tengo e ammetto di aver provato frustrazione a ricevere slogan di frasi fatte in risposta. Ho compreso che non ci sono parole per comunicare quello che sento quando, dopo l'ennesima discussione in famiglia, ho abbracciato mio padre che ha appena perso un amico dopo una lunga malattia. Ho avvertito tutto il suo/il nostro dolore che nella fiamma che ha avvolto i nostri cuori è stato in un certo modo purificato fino a lasciare una piccola scintilla. Che è oltre il dolore, là dove l'Amore è. Non cercherò più di giustificare le mie scelte, resterò aperta agli abbracci, a quel calore di cuori che vibrano insieme in un istante. Perché il dolore in me si fa sentire quando mi aspetto qualcosa di diverso da ciò che è, da me o dagli altri.

Mario Zanoletti
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Re: IL DOLORE, QUESTO SCONOSCIUTO - CONOSCIUTO

Messaggio da Mario Zanoletti » 30 agosto 2021, 15:57

Cara Maira, il sentirci isolati (non comunicanti) è il dolore che più ci attanaglia e ci porta a scelte controverse. Chi di noi non sente la ferita della separazione? Che di noi non sente la ferita della solitudine? Ferite che si associano a molte altre e ci fanno da corollario nelle nostre relazioni.
Sì, noi ci relazioniamo in base alle ferite e qui l'ego fa la sua parte da leone - il bello di essere vittima -
Come disse il saggio:" Abbiamo accumulato tante ferite, e se non ne siamo consapevoli tutte le nostre azioni diventano reazioni a quelle ferite.
Nella conoscenza di sé c'è la fine del dolore e, quindi, l'inizio della saggezza."

Ed ancora. «Cos’è che viene ferito? Si dice che sia l’io ad essere ferito; che cos’è questo “io”? Fin dall’infanzia ci costruiamo un’immagine di noi stessi. Abbiamo moltissime immagini, non solo quelle che la gente ha di noi, ma anche quelle che ci costruiamo noi: l’immagine di essere un americano, un cristiano, uno specialista.
Quindi, l’”io” è l’immagine che abbiamo costruito di noi stessi, di essere una persona speciale o molto buona, ed è quell’immagine a venire ferita.
Si può avere l’immagine di essere dei grandi oratori, scrittori, esseri spirituali o capi. Queste immagini sono il nocciolo di se stessi; quando diciamo che ci sentiamo feriti significa che quelle immagini sono state ferite.
Se abbiamo un’immagine di noi e qualcuno viene a dirci che siamo degli stupidi, ci sentiamo feriti. L’immagine che ho di me di non essere uno stupido, è il “me” e quello viene ferito. E portiamo con noi quell’immagine e quella ferita per il resto della vita.»

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